Rapporto Montagne Italia 2017. Un utile strumento per conoscere le Terre Alte.

E stato presentato il Rapporto Montagne Italia 2017, lo studio giunto alla sua terza edizione è pubblicato dalla Fondazione Montagne Italia (costituita da Federbim e Uncem) ed è ormai un punto di riferimento conoscitivo e divulgativo imprescindibile per chi desideri approfondire le dinamiche socio-economiche dei mondi montani.
Ne sottolineo in particolare l’utilità per noi amministratori, perché ci supporta nel definire strumenti e politiche pubbliche specificatamente dedicate ai territori e che, con il supporto di numeri e analisi, permette di cogliere meglio le opportunità possibili, nonché di conoscere il valore produttivo e ambientale delle nostre terre; perché di certo la montagna non può più essere considerata dal resto del Paese soltanto un “complemento” della città, da frequentare per il solo relax o attività sportivo-ricreative.
Come Consiglio di Amministrazione della Fondazione abbiamo condiviso l’approccio scelto dal Rapporto, ovvero quello di non considerare le terre alte come realtà marginali, ma il centro di un nuovo sistema di sviluppo, quello di un Paese che vuole uscire dalla crisi economica e che è capace di ridisegnare, in termini di sostenibilità, il proprio modello di sviluppo.
Di particolare interesse è la scelta di utilizzare il tema delle “differenze. La montagna non è tutta uguale, e ci sono dei caratteri di sistema che contraddistinguono le due catene Alpi ed Appennini quali macroregioni significative, alle quali riconoscere ruoli specifici e verso le quali declinare politiche distinte, tanto in sede nazionale che in sede europea.
Fra le tematiche più significative, e che danno anche il nome ad altrettante sezioni del Rapporto, ci sono il cambiamento, i soggetti che ne sono i motori e i protagonisti, e le politiche che questo cambiamento accompagnano, contrastano o vogliono suscitare. Una quarta sezione, meno trasversale, affronta il tema della sicurezza territoriale: il nostro Paese troppo spesso dimentica la fragilità delle proprie formazioni geologiche, resa più evidente dall’intensità di popolamento del suo territorio; per questo, troppo spesso si ragiona in termini di “emergenza perpetua”. Sotto questo punto di vista, tuttavia, ritengo che in Valle d’Aosta, negli anni, si siano fatti investimenti estremamente importanti che rimarcano un’attenzione continua alla tematica e un’ampia prospettiva temporale.
Da leggere anche le cosiddette “voci della montagna”, dei casi emblematici raccontati da chi vive quotidianamente i mondi montani, a completamento di ogni sezione tematica, e che testimoniano e commentano gli orizzonti di lavoro.

Fra di essi ve ne sono alcuni che mi sono appuntato. Il capitale naturale della montagna, infatti, e i conseguenti “servizi ecosistemici e ambientali” (quali l’approvvigionamento idrico e la purificazione dell’aria, il riciclo naturale dei rifiuti, la formazione del suolo, la manutenzione dei versanti e molti altri meccanismi regolatori naturali, così come la fissazione del carbonio delle foreste di proprietà demaniale e collettiva, la regimazione delle acque nei bacini montani, la salvaguardia della biodiversità e delle qualità paesaggistiche e l’utilizzazione di proprietà demaniali e collettive per produzioni energetiche) possono infatti rappresentare una ricchezza ed essere un essenziale fattore di sviluppo per il Sistema Paese.
I numeri ci dicono delle cose interessanti: in primis che la montagna è in crescita, sia dal punto di vista del PIL, sia per quanto riguarda le opportunità di sviluppo che i recenti provvedimenti legislativi riservano alle comunità e ai territori.
Il ritorno al settore primario e alle produzioni agroalimentari da parte di un numero ampio di giovani, con il conseguente avvio di una varietà di produzioni piccole e medie e l’offerta turistica in aumento, stanno cambiando il volto della montagna italiana.
Fra gli aspetti maggiormente significativi c’è quello delle Green community e di una rinnovata Green economy. Le politiche pubbliche devono dare concretezza all’idea, certo meritevole ma forse troppo generica, di comunità che costruiscono il proprio successo attorno all’opzione della sostenibilità. Come territori ci rivolgiamo sempre più a una domanda, locale e globale, attenta al valore delle risorse neutrali e della loro riproducibilità. Questa prospettiva intravvede anche nei nostri territori, esterni alla rete urbana, la capacità di conservare e di attrarre nuovi cittadini e imprese grazie ad un rapporto più diretto con le risorse ambientali, in un sistema di vita quotidiano che supera grazie alla tecnologia e all’ingegno la dispersione territoriale e che permette di costruire una rinnovata rete sociale.
È verso questa prospettiva di comunità della montagna aperta che stiamo lavorando, muovendoci in alcune direzioni ben precise. Oltre allo sviluppo dell’ICT e il “portare banda” (ne ho parlato sul blog in queste diverse occasioni) sul territorio, ragioniamo anche in termini di risorse che l’Europa mette a disposizione delle aree interne Ad esempio, in questa linea s’inserisce la prospettiva dei GAL: nell’arco alpino operano una quarantina di gruppi di azione locale, finanziati con risorse finanziarie stanziate all’interno dei Piani di sviluppo rurale, e che comprendono 1129 Comuni e oltre 2 milioni di abitanti. È evidente allora, in estrema sintesi, che la “voce della montagna” deve e può farsi sentire, e soprattutto deve farlo raccontando il meglio delle proprie esperienze e la capacità, spesso inedita nelle aree metropolitane, di farsi voce attiva di un protagonismo virtuoso.

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